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Maternità e dimissioni

A cura di

Pietro Barcellona

Labour Law Consultant
01 Agosto 2023

Maternità e dimissioni

Nella terza pillola informativa, disponibile in Area Riservata, sono state illustrate le speciali garanzie che devono accompagnare le dimissioni dei lavoratori in stato di maternità e paternità (le medesime regole valgono anche per la risoluzione consensuale del rapporto).

 

Le dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza e della lavoratrice e del lavoratore durante i primi tre anni di vita del minore (o nei primi tre anni di accoglienza, se il minore è adottato o in affidamento – decorrenti dalla comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, in caso di adozione internazionale) devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro. In caso contrario le dimissioni sono inefficaci (art. 55 D. Lgs. 26/03/2001, n. 151).

 

L’obiettivo preso di mira dal legislatore è quello di garantire la genuinità e la spontaneità della volontà dismissiva espressa dai lavoratori in un periodo così delicato, affidandone la relativa verifica ai servizi ispettivi ministeriali.

 

Ne consegue che le dimissioni presentate solo per iscritto da una lavoratrice madre durante il periodo protetto, alle quali non faccia poi seguito la procedura di convalida, potranno essere considerate inefficaci anche a distanza di anni e addirittura a seguito di comportamenti che possano far intendere una effettiva volontà di interrompere il rapporto di lavoro (come la percezione dell’indennità di disoccupazione e lo svolgimento di attività lavorativa a favore di terzi).

 

Così è stato infatti riconosciuto dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 4037 del 2018, successivamente impugnata con ricorso per cassazione. Investita dell’impugnazione (Cass., Sez. lavoro, Ord., 23/02/2023, n. 5598), la Suprema corte ha confermato la sentenza di merito, disattendendo la tesi del datore di lavoro volta a sostenere che, anche in assenza della convalida dell’Ispettorato, l’inefficacia delle dimissioni del lavoratore dovrebbe considerarsi limitata al solo periodo protetto (il primo anno di vita del bambino, stando alla formulazione della norma temporalmente vigente al momento dei fatti di causa).

 

La Cassazione ritiene invece inammissibile, per come formulato, il motivo di censura inteso a valorizzare la condotta successiva della lavoratrice quale comportamento concludente di recesso dal rapporto di lavoro (condotta consistente nella percezione dell'indennità di disoccupazione; nell’aver prestato attività lavorativa in favore di terzi subito dopo avere rassegnato le dimissioni; nell’impugnazione del licenziamento dopo oltre due anni dalle dimissioni).

 

Tale ultima questione appare tuttavia di rilevante interesse con riferimento al tema trattato, dal momento che la stessa Cassazione ha riconosciuto la possibilità di desumere la volontà di recesso del lavoratore (qualora non sia prevista alcuna forma convenzionale e sempre alla luce del principio dell’affidamento) da dichiarazioni o comportamenti, anche omissivi, come l’abbandono del posto di lavoro (Cass. Sez. lavoro, 10/10/2019, n. 25583).

 

In questo senso ha ricevuto particolare attenzione il caso deciso dal Tribunale di Udine con sentenza del 27.05.2022, risolto con la qualificazione della protratta assenza di una lavoratrice unitamente alla manifestata volontà di non proseguire il rapporto di lavoro come dimissioni volontarie, sebbene non fossero intervenute in conformità alla procedura telematica prevista a pena di inefficacia dall’art. 26 del D. Lgs. 151/2015.

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